Regolamento UE 741/2020 sul riutilizzo delle acque reflue depurate

RIUSO DECENTRALIZZATO ACQUE REFLUE DEPURATE-NORMATIVA

 

Excursus sulle normative nazionali e comunitarie

 

La normativa sulla tutela delle acque disciplina, oggi, anche il recupero e, il conseguente, riutilizzo delle acque reflue per uso irriguo, civile e industriale.

Ripercorriamo, con un rapido excursus, le tappe salienti delle varie norme susseguitesi nel tempo.

In  Italia, la  prima  vera  normativa  in  materia  di tutela  delle  acque è stata la Legge n. 319/1976 (cd Legge Merli): in piena vigenza della Merli, con la Delibera del Comitato Interministeriale per la Tutela delle Acque dall’Inquinamento (CITAI) del 4 febbraio 1977, furono introdotti, per la prima volta nella legislazione italiana, i “Criteri generali per il corretto e razionale uso dell’acqua” e, di conseguenza, furono prodotte anche le prime indicazioni relative al riutilizzo delle acque reflue.

Prima dell’avvento della Legge n. 319/1976, la linea direttiva della legislazione italiana era basata sul Testo Unico del 1933 (R.D. n. 1775/1933), che acconsentiva all’utilizzazione delle acque superficiali e sotterranee naturali, senza considerare l’impatto sui bilanci idrici.

Con la Legge n. 36 del 1994 (cd Legge Galli), abrogata dal D. Lgs. n. 152/2006, è stato fatto un notevole passo avanti, poiché, per la prima volta, si è data una valenza prioritaria al significato di risparmio della risorsa, con i concetti di uso plurimo e di riutilizzo.

Successivamente, il D. Lgs. n. 152/1999, recependo la (Direttiva, 91/271/CEE), ha disciplinato la tutela e l’uso sostenibile dell’acqua e il riutilizzo delle acque reflue, offrendo una visione più ampia di quella vigente in precedenza, a maggior difesa del patrimonio idrico.

Il D. Lgs. n. 152/1999, con l’art. 26 comma 2, disponeva che:

“2. L'articolo 6 della legge 5 gennaio 1994, n.36, è sostituito dal seguente: "Articolo 6. (Modalità per il riutilizzo delle acque reflue)

1. Con  decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con  il Ministro per  le politiche agricole, della sanità, dell'industria, del commercio e dell'artigianato, dei lavori pubblici e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono definite norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue.

 2.  Le regioni adottano norme e misure volte a favorire il riciclo dell'acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate mediante le quali sono in particolare:

\a) indicate le migliori tecniche disponibili per la progettazione e l'esecuzione delle infrastrutture nel rispetto delle norme tecniche emanate ai sensi del comma 1;

 b) indicate le modalità del coordinamento interregionale anche al fine di servire vasti bacini di utenza ove vi siano grandi impianti di depurazione di acque reflue;

c) previsti incentivi e agevolazioni alle imprese che adottano impianti di riciclo o riutilizzo.”

 

In seguito alla disposizione ex art. 26 comma 2 del D. Lgs. n. 152/1999, è stato emanato il Decreto Ministeriale n. 185 del 12 giugno 2003 – “Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell’articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152” – che ha stabilito le norme tecniche, con l’indicazione dei parametri chimici e biologici da rispettare affinché le acque reflue domestiche, assimilate alle domestiche, urbane e industriali, possano essere riutilizzate nei diversi ambiti, riducendo, al contempo, il prelievo delle acque superficiali e sotterranee e l’impatto degli scarichi sui fiumi, favorendo, così, il risparmio idrico e la tutela della risorsa acqua.

Le acque reflue, com’è noto, non presentano tutte le stesse caratteristiche: infatti, quelle domestiche, originate sia da abitazioni residenziali, sia da attività assimilabili a quelle domestiche, sono caratterizzate dalla presenza di inquinanti di natura principalmente organica, mentre quelle industriali presentano, prevalentemente, sostanze di natura chimica.

Il Decreto in questione, all’art. 3, definisce in modo chiaro i tre possibili utilizzi delle acque reflue depurate:

“ a) irriguo: per l'irrigazione di colture destinate sia alla produzione di alimenti per il consumo umano ed animale sia a fini non alimentari, nonché' per l'irrigazione di aree destinate al verde o ad attività ricreative o sportive;

b) civile: per il lavaggio delle strade nei centri urbani; per l'alimentazione dei sistemi di riscaldamento o raffreddamento; per l'alimentazione di reti duali di adduzione, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione dell'utilizzazione diretta di tale acqua negli edifici a uso civile, ad eccezione degli impianti di scarico nei servizi igienici;

c) industriale: come acqua antincendio, di processo, di lavaggio e per i cicli termici dei processi industriali, con l'esclusione degli usi che comportano un contatto tra le acque reflue recuperate e gli alimenti o i prodotti farmaceutici e cosmetici.”

 

Per poter essere riutilizzate in uno qualsiasi dei tre macrosettori individuati dal decreto, le acque reflue devono raggiungere un certo grado di qualità, particolarmente sotto l’aspetto igienico-sanitario.

All’art.  6,  il  D.M.  recita: “nell'ambito  della  autorizzazione  allo  scarico  con  finalità  di riutilizzo e, nel caso di impianti di recupero delle acque reflue urbane, dell'approvazione dei progetti ai sensi dell'articolo 47 del decreto legislativo n. 152 del 1999, sono dettate le prescrizioni atte a garantire che l'impianto autorizzato osservi i valori limite e le norme del presente regolamento e della normativa regionale di attuazione.” I valori limite delle acque reflue all’uscita dell’impianto di recupero sono riportati nell’allegato 1 (DM, 185/2003);

Con il provvedimento ministeriale in parola, viene introdotto per la prima volta il concetto di “riutilizzo in condizioni di sicurezza” per l’ambiente, volto all’eliminazione/contenimento dell’impatto sugli ecosistemi, sul suolo e sulle colture e, conseguentemente, si interviene a eliminare i rischi igienico-sanitari per la popolazione, richiamandosi alle vigenti norme in materia di sanità e sicurezza, nonché alle regole di buona prassi industriale e agricola.

Dalla lettura del decreto emerge l’importanza che il legislatore attribuisce a una corretta gestione del ciclo dell'acqua, ricorrendo alle conoscenze tecnologiche esistenti, per il raggiungimento di obiettivi socialmente ed economicamente utili. Non a caso, all’art. 9, vengono definite le “Reti di distribuzione”, elemento hardware di base per garantire una gestione corretta delle acque reflue depurate:

“1. Le reti di distribuzione delle acque reflue recuperate sono separate e realizzate in maniera tale da evitare rischi di contaminazione alla rete di adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano. I punti di consegna devono essere adeguatamente marcati e chiaramente distinguibili da quelli delle acque destinate al consumo umano.

2. Le reti di distribuzione delle acque reflue recuperate devono essere adeguatamente contrassegnate e, laddove realizzate con canali a cielo aperto, anche se miscelate con acque di altra provenienza, devono essere adeguatamente indicate con segnaletica verticale colorata e ben visibile.

3. Le tubazioni utilizzate per l'alimentazione degli scarichi dei servizi igienici devono essere adeguatamente contrassegnate mediante apposita colorazione o altre modalità di segnalazione”.

 

Con l’emanazione della Dir. (DIRETTIVA, 2000/60/CE) è stato previsto il ricorso a misure supplementari per conseguire gli obiettivi di qualità dell’acqua, evidenziando i criteri tesi a favorire il riutilizzo dell’acqua.

La succitata direttiva comunitaria è stata recepita in Italia con il D.Lgs. n. 152/2006, il quale, riprendendo quanto già disciplinato dal D.Lgs. 152/1999, all’art. 99 ("riutilizzo dell'acqua") dispone che:

“1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con proprio decreto, sentiti i Ministri delle politiche agricole e forestali, della salute e delle attività produttive, detta le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue.

2. Le regioni, nel rispetto dei principi della legislazione statale, e sentita l'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, adottano norme e misure volte a favorire il riciclo dell'acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate.”

 

Sempre il Testo Unico promuove il risparmio idrico: difatti, l’art. 98 sancisce che:

“1. Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all'eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili.

2. Le regioni, sentite le Autorità di bacino, approvano specifiche norme sul risparmio idrico in agricoltura, basato sulla pianificazione degli usi, sulla corretta individuazione dei fabbisogni nel settore, e sui controlli degli effettivi emungimenti.”

 

Lo scorso anno, con l’emanazione del Regolamento (UE) n. 2020/741, sono state apportate importanti novità: l’Allegato 1, in particolare, fornisce un’articolata definizione di “uso irriguo in agricoltura”: “l’irrigazione dei seguenti tipi di colture:

  • colture alimentari da consumare crude, ossia colture destinate al consumo umano a uno stato crudo o non lavorato;
  • colture alimentari trasformate, ossia colture i cui prodotti sono destinati al consumo umano dopo un processo di trasformazione (cottura o lavorazione industriale);
  • colture non alimentari, ossia colture i cui prodotti non sono destinati al consumo umano (ad esempio, pascoli e colture da foraggio, da fibra, da ornamento, da sementi, da energia e per tappeto erboso).”

La citata norma, inoltre, nei diversi ambiti di applicazione, definisce gli obblighi del gestore degli impianti di affinamento e gli obblighi in materia di qualità delle acque affinate.

Il Regolamento (UE) n. 2020/741, amplia la visione della problematica, evidenziando che “Le crescenti pressioni cui sono sottoposte le risorse idriche dell’Unione determinano scarsità d’acqua e deterioramento della qualità delle acque. In particolare, i cambiamenti climatici, le condizioni meteorologiche imprevedibili e le siccità stanno contribuendo in misura significativa all’esaurimento delle riserve di acqua dolce dovuto all’agricoltura e allo sviluppo urbano.”

Nel Regolamento, agli articoli 6 e 7, è stabilito, altresì, che le norme disciplinanti i permessi necessari per la produzione e per l’erogazione di acque depurate a fini irrigui, debbano essere definiti a livello di Unione, mentre le modalità dettagliate delle procedure per la concessione degli stessi, vedi la designazione delle autorità competenti al rilascio, debbano essere stabilite Stati membri.

Dalla lettura combinata delle leggi, soprattutto di carattere nazionale, si evince che le Regioni svolgono un ruolo importante nell’economia del riutilizzo delle acque depurate, adottando politiche volte alla sua promozione e attuazione sul territorio regionale e prevedendo risorse finanziarie specificatamente destinate a tale scopo.

Le Regioni, inoltre, all’interno dei Piani di Tutela delle Acque, possono individuare gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane da destinare al riutilizzo e richiedere la predisposizione di Piani di Gestione per il riuso delle acque.

Molte Regioni, peraltro, hanno legiferato in materia di riutilizzo (es.: la Regione Sardegna, la Regione Lazio e la Regione Lombardia), sulla base di quanto disposto dalla normativa nazionale.

Si ritiene che la normativa regionale debba essere dettagliata, prevedendo che l’autorità competente ad autorizzare il riutilizzo delle acque reflue coincida con chi autorizza lo scarico; in tal senso si sono orientate diverse Regioni.

Tutto ciò premesso, dal punto di vista normativo, il concetto di riuso delle acque reflue ha aperto diversi interrogativi, tra cui:

  1. la definizione dei rapporti tra i vari utilizzatori;
  2. il ruolo dello Stato e degli Enti locali;
  3. gli incentivi al riutilizzo delle acque;
  4. l’indicazione degli standard di qualità delle acque da utilizzare a tale scopo

Per quanto riguarda i primi due punti, la questione è incentrata sulla «proprietà» delle acque reflue: secondo l’abrogata Legge Galli, tutte le acque sono «pubbliche» e, di conseguenza, anche le acque di scarico, provenienti da un impianto di trattamento, sono di proprietà dello Stato; pertanto, il loro utilizzo richiederebbe il rilascio di una concessione da parte dello Stato o della Regione.

In merito a tale problematica il D.M. n. 185/2003, con l’art.6, in precedenza richiamato, ha delegato le Regioni a legiferare in merito.

Relativamente alla questione “incentivi”, la Direttiva 2000/60/CE ha incoraggiato gli Stati Membri a emanare provvedimenti mirati alla gestione della carenza idrica e della siccità, invitandoli ad adoperarsi per promuovere misure di risparmio idrico.

Il Regolamento UE del 2020, inoltre, ha fornito ulteriori slanci a sostegno di tale tematica; appare interessante riportare due punti ripresi dalle “considerazioni” iniziali:

“(43) Al fine di sviluppare e promuovere il più possibile il riutilizzo delle acque reflue adeguatamente trattate, e onde migliorare in misura significativa l’affidabilità delle acque reflue adeguatamente trattate e i metodi sostenibili per il loro utilizzo è opportuno che l’Unione sostenga la ricerca e lo sviluppo in materia, tramite il programma Orizzonte Europa.

(44) Il presente regolamento mira a incoraggiare l’utilizzo sostenibile dell’acqua. A tale scopo, la Commissione europea dovrebbe impegnarsi a utilizzare i programmi dell’Unione, fra cui il programma LIFE, per sostenere le iniziative locali di riutilizzo delle acque reflue adeguatamente trattate.”

 

L’ultimo punto, relativo all’indicazione degli standard di qualità delle acque reflue da riutilizzare, è stato ben affrontato dal D.M. n. 185/2003 e, a seguire, con un avanzato grado di specificità, dal Regolamento (UE) n. 741/2020.

 

Regolamento UE 741/2020 sul riutilizzo delle acque reflue depurate

 

Il 13 maggio 2020 è stato adottato dal Parlamento e dal Consiglio Europeo un Regolamento recante le prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua a fini irrigui in agricoltura, che troverà applicazione a decorrere dal 26 giugno 2023. La nuova disciplina è stata introdotta per rimuovere alcuni ostacoli ad un riuso diffuso, garantendo la sicurezza delle acque trattate, un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute umana e animale. In quest’ambito il riutilizzo delle acque reflue affinate è stato riconosciuto come soluzione promettente, con un impatto ambientale spesso inferiore a quello di misure alternative di approvvigionamento idrico, quali i trasferimenti d’acqua o la dissalazione.

Lo scopo del regolamento è favorire una maggiore diffusione del riutilizzo delle acque reflue in agricoltura, laddove opportuno ed efficiente in termini di costi, qualora gli Stati lo desiderino o ne abbiano necessità. Garantire in modo coordinato la sicurezza delle acque trattate a fini irrigui in agricoltura significa anche promuovere l’economia circolare permettendo di recuperare i nutrienti dalle acque trattate e applicarli ai raccolti mediante tecniche di fertirrigazione, favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, contribuire agli obiettivi della Direttiva Quadro sulle Acque e al buon funzionamento del mercato interno. Questi indirizzi si inseriscono anche nel Green Deal europeo che punta a ridurre l’inquinamento da eccesso di nutrienti attraverso una strategia denominata “dal produttore al consumatore”. Il riutilizzo delle acque e la gestione dei nutrienti rientrano tra le azioni promosse dal nuovo piano per l’Economia Circolare.

 

Il Regolamento stabilisce i parametri minimi di qualità dell’acqua che devono essere rispettati, prevedendo che possano essere integrati nei permessi di riutilizzo da eventuali condizioni supplementari stabilite dalle autorità competenti e da ogni altra condizione necessaria per eliminare rischi per l’ambiente e per la salute. Il rilascio dei permessi per la produzione ed erogazione di acque trattate deve essere basato sulla valutazione di un piano di gestione dei rischi connessi al riutilizzo dell’acqua, da cui possono discendere misure e obblighi supplementari per i gestori degli impianti di affinamento. Tale piano permette di individuare i potenziali pericoli (es. la presenza di agenti inquinanti e patogeni) e possibili eventi pericolosi (quali un malfunzionamento del trattamento, fuoriuscite o contaminazioni accidentali nel sistema di riutilizzo, ambienti e popolazioni a rischio), stabilire adeguate misure preventive e/o correttive, individuare le parti coinvolte, i rispettivi ruoli e le responsabilità. Vengono inoltre disciplinati i monitoraggi che devono essere svolti dai gestori e i controlli da parte delle autorità competenti, con la sospensione dell’erogazione in caso di non conformità che possano comportare un rischio per l’ambiente o per la salute. Sono inoltre previste sanzioni in caso di violazione del Regolamento.

L’Allegato 1 (Tab.1, in particolare, definisce le classi di qualità delle acque affinate e tecniche di irrigazione e utilizzi agricoli consentiti.

Sulla base di tale classificazione, in Tab.2 sono riportate le prescrizioni minime di qualità:

 

 

 

 

 

 

 Tra i principali ostacoli, l’insufficiente divario di prezzo tra l’acqua riutilizzabile e quella prelevata dall’ambiente ha limitato da sempre l’attrattività economica di questi interventi, in combinazione con l’assenza di chiari incentivi finanziari che sostengano il riuso; del resto, se manca il segnale di prezzo relativo ai reali costi ambientali e di tutela della risorsa idrica quando questa viene prelevata e consumata, difficilmente il riuso potrà trovare spazio di sviluppo anche in futuro. Il tema poi della stagionalità della richiesta irrigua da parte del comparto agricolo può inficiare la scelta di implementazione del trattamento dei depuratori, volta a sopperire ad una richiesta quasi esclusivamente estiva e certamente non favorevole alla sostenibilità dei costi diretti. Quest’ultimo limite è tuttavia affrontabile se si sviluppa un utilizzo più sostenibile delle acque depurate in luogo di quelle prelevate dall’ambiente.

Il ricorso al riutilizzo delle acque reflue trattate costituisce, difatti, una risposta efficiente allo stress idrico a cui è sottoposto, quotidianamente, il Pianeta e si può ragionevolmente affermare che il Legislatore, comunitario e nazionale, abbia fornito tutti gli strumenti, sia normativi, sia tecnici, utili alle Regioni per poter legiferare in merito e, soprattutto, per garantire al meglio il ricorso a questa pratica a tutela degli ecosistemi.

Si auspica, pertanto, che tutte le Regioni, sulla base delle indicazioni normative vigenti, provvedano a colmare i vuoti legislativi locali, anche in vista dei contributi pubblici a fondo perduto del Recovery Fund Europeo, buon punto di partenza per lo sviluppo di tecnologie innovative.

Ugualmente importante è il ruolo degli addetti ai controlli, deputati all’attenta verifica dell’intera filiera del riutilizzo, attività che si presta a mascherare eventuali smaltimenti illeciti, con particolare riguardo alla bontà delle acque depurate riutilizzate e degli atti che ne autorizzano il loro riuso.